Una delle vittime più illustri del’eruzione fu l’autore latino Plinio il Vecchio, che si trovava a Miseno con la sua flotta. Suo nipote Plinio il Giovane ha lasciato una cronaca della tragedia e della morte dello zio che tentava di correre in aiuto delle città colpite.
Nonostante la città, sepolta, fosse caduta nell’oblio, gli scavi hanno confermato ciò che era stato raccontato dagli autori antichi: i corpi rinvenuti testimoniano che molti degli abitanti sono morti per soffocamento, come Plinio, a causa dei gas sprigionati dal vulcano; molti altri sono stati colti dall’eruzione nelle case, senza alcuna via di scampo. L’abbandono di Pompei non fu totale. Qualcuno dei superstiti vi ritornò per recuperare oggetti preziosi ed il foro fu spogliato delle statue di bronzo. Intorno al II secolo inoltre, qualcuno rioccupò alcune povere abitazioni nell’area Nord della città, fino al IX secolo quando forse nuovi terremoti ed eruzioni e l’arrivo dei saraceni ebbero la meglio e l’abbandono fu totale.
La riscoperta della città fu del tutto fortuita: l’architetto Domenico Fontana nel 1600, mentre costruiva un canale, individuò dei resti antichi, ma non riuscì ad identificarli con quelli di Pompei, della cui ubicazione si era persa la memoria; alla metà del 1700 iniziarono gli scavi che tendevano più che altro a spogliare gli edifici delle decorazioni preziose e non furono altro che veri e propri sterri. Il primo scavo scientifico fu condotto da Giuseppe Fiorelli con la nuova tecnica rigorosamente stratigrafica. Fu sua inoltre l’idea di versare gesso liquido nei vuoti, creati sotto le ceneri dai corpi, per conservarne il calco. Col passar del tempo uno scavo estensivo su tutta la città riportò in vita l’antico splendore dei monumenti pubblici e privati.
Oggi, entrando da Porta Marina, lo sguardo si perde nelle ville; negli affreschi ancora perfettamente conservati; il foro; il tempio di Apollo; quello di Giove; il Macellum, il mercato coperto dove veniva venduto anche il pesce; le terme: tutti quanti ci danno un’idea di come si svolgesse la vita pubblica della città. Non mancavano edifici per i divertimenti pubblici, come il teatro grande, quello coperto (l’Odeion), l’anfiteatro e privati, come il lupanare, il bordello, decorato con suggestivi affreschi assolutamente espliciti sui costumi sessuali.
Infine le case e le ville che nei giardini, nelle stanze decorate, negli affreschi, conservano ancora il segreto di quella vita ormai così lontana che pure il vulcano non è riuscito a cancellare e che sembra quasi sospesa nel tempo.